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Nuove linee di azione delle gestioni commissariali?

Con il decreto, tempestivo e quasi contestuale, del governo al proposito di Banca Carige, sottoposta a gestione commissariale da parte della BCE, si innova, forse radicalmente, la gestione delle crisi di un un’azienda di credito. Si ribadisce che i creditori di una banca debbano essere tutelati, giacché se è vero che anche la Vigilanza cercherà,  con la gestione commissariale, di capire meglio le cause e le dimensioni della crisi dell’azienda di credito, tali valutazioni risultano a priori impossibili per i creditori. E le autorità preposte alla vigilanza sulle società e i mercati finanziari non riescono a determinare condizioni sufficienti di informazione per i risparmiatori che nel caso specifico delle banche universali avrebbero, in ogni caso, l’impossibilità di sapere valutare l’intreccio tra i rischi di una specifica passività bancaria, diversa dai depositi assicurati, e il business model della banca.

Insomma, l’intervento, quasi immediato, della garanzia pubblica è la riprova che nella realtà presente le gestioni commissariali tradizionali sarebbero inutilmente costose, poiché:

a) lasciano nell’incertezza i creditori, che tendono perciò a determinare la diminuzione del passivo aggravando la carenza di liquidità della banca in crisi;

b) stimolano i debitori, con qualche difficoltà, a contestare la propria obbligazione, anche con ragioni pretestuose;

c) impediscono di fatto una gestione ordinaria attiva, mentre le risorse umane più capaci e abili tirano a mutare il datore di lavoro;

d) e via elencando.

Invece, la garanzia pubblica del passivo di una banca, come premessa di una gestione nuova della raccolta di fondi, conferma che la banca in crisi non andrà in risoluzione (bail in); ristrutturerà il proprio passivo; mirerà al mutamento dell’assetto proprietario, o mediante una fusione con altro/i istituto/i o a motivo di un nuovo conferimento di capitale proprio. Anche con denaro pubblico, che costituirà una partecipazione statale in sostituzione della precedente obbligazione di garanzia; ridurrà il contenzioso per quanto attiene alla gestione dell’attivo della banca in crisi.

L’eventuale conferimento di denaro pubblico, impropriamente, è qualificato come nazionalizzazione della banca di cui si tratta.

E’ quindi possibile una salvaguardia anche per gli azionisti, soprattutto se piccoli. Insomma una gestione commissariale per non vanificare possibili condizioni di nuovi equilibri di gestione. Il che dovrebbe annullare i pericoli di situazioni di contagio, invece altamente probabili in una procedura di risoluzione.

I commissari potranno altresì agire, con la dovuta ponderazione, per l’accertamento di fatti e circostanze che coinvolgano responsabilità, di singoli componenti o nell’insieme, degli organi collegiali precedenti di amministrazione e/o di controllo.  

In sintesi: il commissariamento di una azienda di credito dipenderebbe dalla valutazione della vigilanza che -rimuovendo la governance, promuovendo se del caso l’aggregazione con altra/e banca/he, innovando gli assetti proprietari-, la banca in difficoltà possa ritrovare condizioni di equilibrio di gestione. Il che non corrisponde all’esperienza, e rinnova sugli organi di vigilanza, e, alla fine, sulla pubblica amministrazione, compiti che si volevano allontanare insieme con l’intreccio tra politica e gestione del credito.

La questione vera, alla radice, è se si debba riconoscere che i risparmiatori e gli investitori, abbiano, salvo situazioni specifiche, l’impossibilità di valutare consapevolmente i rischi di divenire creditori di una banca, ancorché avvertiti che solo i depositi fiduciari, fino alla concorrenza di un dato ammontare, sono assicurati.

Se al quesito si risponde in modo affermativo: la banca in difficoltà non andrebbe più in risoluzione; la procedura di bail in sarebbe una via non praticabile; l’intervento della mano pubblica, in nome della tutela del risparmio, sarebbe  quasi inevitabile.

Il dibattito può solo proseguire.