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La crisi di singole banche si risolve con il bail out

In occasione delle recenti “Considerazioni finali” (fine maggio 2017) del Governatore della Banca d’Italia, il dott. Ignazio Visco ha letto alcuni fogli “fuori testo”, non pubblicati, in cui ha detto quale sia stata la lezione del salvataggio di alcune banche. La riflessione, sulla quale unanimemente si può convenire, è che gli interventi auspicati si concretino rapidamente, significando l’allungamento dei tempi un aumento delle perdite delle banche in difficoltà e, quindi, un maggior costo del salvataggio. A ben vedere, il salvataggio delle banche in crisi va di norma preferito alla risoluzione della banca in crisi attraverso il bail in, salvo si tratti di aziende di credito di piccolissime dimensioni, essendo il bail in una procedura che, potenzialmente, ha sempre effetti, oltre che di immagine, di contagio e di destabilizzazione del sistema monetario dei pagamenti.

Invero le nostre banche in difficoltà, salvo il Monte dei Paschi, sono tutte di minori dimensioni. L’aspetto particolare è che contemporaneamente, o quasi, la crisi ha riguardato dieci banche (le quattro così dette good bank, tre altre piccole dello stesso tipo, la Carige e le due banche venete: Popolare di Vicenza e Veneto Banca). Per evitare la procedura di bail in, la soluzione finale è sempre quella che la banca in difficoltà passi sotto il controllo di un’altra, o di alcune altre, di guisa che i creditori siano tutti rassicurati di non dovere ragionevolmente perdere, in tutto o in parte, i propri diritti. Viene annullato il patrimonio e i debiti con funzione di componente del patrimonio (obbligazioni subordinate), purché negoziati con piena consapevolezza della rischiosità inerente.

Il problema è che il “cavaliere bianco” si dia carico della rimessa in bonis, anche incorporandola, della banca in difficoltà; non debba pagare più del valore patrimoniale della stessa (compresi cespiti intangibili e dedotto il probabile badwill); sia sollevato dalle perdite possibili sulle partite deteriorate, in un modo o nell’altro scorporate. Chi si dà carico di tale ultimo punto? Non potendosi gravare i contribuenti, si deve ricorrere alla solidarietà interbancaria, in sostanza a un fondo alimentato da contributi di tutti gli intermediari creditizi. Fondo che sarà gestito al meglio solo se le crisi di singole banche possono essere colte, quanto più possibile, sul nascere, dalle autorità di vigilanza e di controllo, che debbono potere porre i titolari del patrimonio della banca in crisi di fronte all’alternativa o di accettare una pronta soluzione di bail out, o di avviarsi verso il bail in.

Se le regole del gioco sono chiare e vengono applicate con trasparenza, l’applicazione non deve necessitare di autorizzazioni burocratiche, anche per evitare reazioni emotive della clientela bancaria coinvolta. Reazioni che possono accrescere il badwill e determinare altre condizioni di difficoltà nella banca interessata.

Non vi debbono essere dubbi al proposito che i responsabili della crisi debbano rispondere alla giustizia, se del caso, per mala gestio.

II bail out, come detto, deve essere quanto più possibile tempestivo. I banchieri, una volta riconosciuto che la stabilità del sistema dell’intermediazione creditizia è un bene generale da salvaguardare, non possono pensare di sottrarsi a forme di solidarietà interbancaria. Sono certo inclini a richiedere, per tutte le banche, regole di governance che limitino scelte di gestione imprudenti, ma sanno anche che taluni disequilibri delle gestioni bancarie possono dipendere dall’incapacità di non tardare scelte organizzative, così come di non provvedere a mutare, nei tempi utili, piani operativi (cambiare le coordinazioni economiche e finanziarie di gestione). Non debbono dimenticare, però, che il sistema dell’intermediazione creditizia e finanziaria è un convoglio, che deve navigare di conserva e che, pur in un contesto di competizione, perdere unità del convoglio non è mai un arricchimento. Infatti navigare di conserva significa “procedere per gruppi, o in unità singole, facendosi scorta reciproca”.

La necessità di stare in convoglio deriva dalla funzione monetaria di una quota dei debiti bancari: i depositi. Sì che se una banca universale, o un gruppo bancario articolato, si indebita per una parte significativa raccogliendo depositi, nel pensiero dei creditori anche gli altri debiti della stessa banca o gruppo creditizio, non con funzione monetaria, meritano tutela in quanto si suppone un certo grado di assimilazione fra l’una e l’altra categoria di debiti. Ed è questa la situazione nell’ambito della Unione Europea.

La solidarietà interbancaria non può fermarsi alla assicurazione dei depositi, vigente in ogni stato, ma completarsi in modo che le operazioni di bail out, per risanare singole banche in crisi, possano attuarsi con tempestività, ai primi segni di malessere delle gestioni creditizie. Sì che alla fine il fondo di solidarietà di cui si tratta possa recuperare il valore dei propri interventi, sia pure dopo qualche tempo.

Si tratta di nuovi vincoli – un tempo si sarebbe detto di altri lacci e lacciuoli – ma è una condizione necessaria se si vuol giungere all’Unione Bancaria Europea, senza che i cittadini del continente debbano temere sulla stabilità del sistema della intermediazione creditizia e finanziaria. Sì che il convoglio dell’Unione Bancaria possa procedere di conserva. E le crisi di singoli intermediari siano superate senza turbamenti particolari nel sistema dell’intermediazione.
La lezione dei fatti, anche recenti, va appresa. I fatti, come si diceva un tempo, sono più importanti dei Lords.