Debito irredimibile: una scelta possibile?
Nella conferenza stampa, a seguire alla riunione del consiglio di giugno della BCE, il Presidente Draghi ha fatto importanti dichiarazioni. Innanzi tutto: il quantitative easing in atto finirà con il 2018 e negli ultimi tre mesi dell’anno gli acquisti di titoli si ridurranno da 30 a 15 miliardi di euro. Il sistema di banche centrali, che fa capo alla BCE, non ridurrà, successivamente, il proprio portafoglio di titoli pubblici (debiti statali redimibili), riacquistando un valore nominale equivalente di titoli in sostituzione di quelli giunti a maturazione. Il valore delle cedole riscosse verrà pure investito il titoli (non è chiarito con quali criteri, ma è evidente che si baderà alle situazioni di mercato per concorrere alla stabilità di quello secondario dei valori di cui si tratta). Ossia: il portafoglio titoli in discorso crescerà per inerzia per l’ammontare delle cedole riscosse e investite, con una capitalizzazione composta secondo il rendimento di mercato. Infine, il sistema delle banche centrali, coordinato dalla BCE, si riserva di mutare tale linea di azione, qualora cambiassero le condizioni esterne e di ambiente, rispetto alle previsioni ad oggi delineate. I saggi di interesse e di rendimento di mercato dovrebbero aumentare solo a partire dal secondo semestre 2019, a motivo dell’avvio di una normalizzazione della politica monetaria.
Come si vede, il Presidente della BCE enuncia una situazione in cui si parte dal presupposto di una quasi naturale stabilità di consistenza nominale dei debiti pubblici, per cui i titoli in scadenza per maturazione vengono rifinanziati con l’emissione di altrettanti valori, e anzi di una tendenziale possibile crescita di detta consistenza per effetto del pagamento, in tutto o in parte delle cedole finanziato con emissione di nuovi valori. Una condizione, in altre parole, per cui il rapporto “debito in essere/PIL” decresce solo a motivo della crescita del PIL. Insomma, i debiti pubblici sarebbero per natura irredimibili. Sono stati emessi come redimibili solo per agevolarne la quotazione e il mercato, ma con la consapevolezza che vanno sistematicamente rifinanziati.
A questi punti, viene spontanea la domanda se alla BCE, cioè al sistema delle banche centrali dell’eurozona, non convenga tramutare il portafoglio di titoli pubblici, acquisito con il quantitative easing (circa € 2500 miliardi, nel complesso), in una “rendita” irredimibile, riducendo così la necessaria emissione di titoli redimibili sul mercato primario per assicurarne il rifinanziamento a maturazione. Inoltre conseguendo una ristrutturazione volontaria dei debiti statali in essere.
Atteso che sussistono difficoltà di ordine politico per una scelta congiunta e simultanea del sistema di banche centrali -si tratterebbe in sostanza di emettere eurobond– sarebbe invece possibile che ciascuna banca centrale nazionale decidesse: la Banca d’Italia per la quota di valori pubblici acquisita in coordinamento con la politica monetaria ultra accomodante della BCE, a partire dal 2014.
Ovvio, la “rendita” irredimibile dovrebbe essere esente da ogni imposta presente e futura e le cedole non dovrebbero essere considerate tassabili in ogni caso. Come sempre è stato per i debiti statali irredimibili. Per le persone giuridiche che le percepissero dovrebbero essere ricavi esenti. Il valore nominale della cedola dovrebbe essere riaggiornato ogni tre anni, in guisa da essere considerato armonico con le situazioni di mercato e di ambiente. Giudico che in Italia, rebus sic stantibus, una cedola del 3,5% sarebbe particolarmente allettante e consentirebbe di originare un mercato della “rendita irredimibile” che offra alla banca centrale condizioni di elasticità, quanto alla gestione del portafoglio titoli di cui si tratta. Un insieme di valori che dovrà convenientemente avere un mercato secondario.
La ristrutturazione volontaria del debito italiano, indipendente da condizioni di crisi, potrebbe consentire una politica di investimenti pubblici, insistentemente richiesta dal Presidente Draghi, collegata con una lettura nuova del valore del rapporto “debito/PIL”, ed agevolare il concretarsi dell’Unione Bancaria Europea.
Le banche potrebbero considerare l’acquisto di titoli di “rendita” con particolare interesse, in un quadro di diversa politica monetaria e di meno vincolata politica economica.
Il progresso può anche consistere nel tornare a percorrere vie antiche, come quella del debito irredimibile, forma primigenia del ricorso al mercato da parte dello Stato. Il debito irredimibile dimostrerebbe di essere poco sostenibile se per il pagamento delle cedole si ricorresse all’emissione di titoli, in una situazione di disavanzo del bilancio statale.